Shockvertising, quando la pubblicità sconvolge: fino a dove ci si può spingere?

Shockvertising, ovvero l’unione delle parole “shock” e “advertising” (pubblicità). Quante ne avete viste? Probabilmente parecchie e sicuramente ve le ricorderete. Ma vi ricordate anche il prodotto/servizio che reclamavano?

La shockvertising si dimostra particolarmente efficace quando si vogliono veicolare dei messaggi sociali (violenza sulle donne e sui minori, anoressia e disturbi alimentari, attenzione sulle strade, ecc.). Quando invece si utilizza questo espediente per pubblicizzare un prodotto/servizio allora il risultato è ben diverso. Utilizzare la provocazione per promuovere qualcosa a fini commerciali spesso procura un senso di fastidio nel pubblico. Due esempi sono le pubblicità di Dolce & Gabbana (in cui al centro c’è un atto sessuale, forse neanche troppo consensiente) e quella di una rivista belga (che ricostruisce addirittura l’omicidio Kennedy). Le pubblicità sicuramente colpiscono, qualcuno (spesso gli addetti ai lavori) possono anche apprezzarne lo sforzo creativo ma i destinatari finali, il più delle volte, notano una forzatura, un messaggio un po’ fuori contesto rispetto al prodotto, una provocazione gratuita. Guardate qua:

Nel caso delle pubblicità progresso invece – nonostante si prema ancora più forte sul pedale “shock” –  si tende ad accogliere il messaggio più positivamente, a giustificare la provocazione perché finalizzata alla sensibilizzazione, allo scuotimento delle coscienze. Ecco alcuni esempi.

Avete avuto anche voi la stessa impressione? Che ne pensate?

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