Pubblicità ingannevole: tre trucchi per “non abboccare”

Quante volte vi è successo di acquistare un prodotto la cui pubblicità prometteva miracoli, ma che non ha fatto altro che tradire le vostre aspettative?

Oggi il consumatore viene continuamente bersagliato da messaggi pubblicitari: sul web, in televisione, sui giornali, alla radio. Tutti noi siamo ormai abituati a ricevere costantemente milioni di informazioni che guidano i nostri bisogni ed i nostri acquisti: alcune utili, altre che hanno il solo scopo di sedurci e persuaderci. Proprio in relazione a tale complessità è sempre più importante essere in grado di riconoscere ed individuare una pubblicità ingannevole.

Quando osserviamo o semplicemente ascoltiamo uno spot pubblicitario la nostra mente è costretta ad analizzare un importante numero di informazioni nel più breve tempo possibile.  A causa di tale velocità di elaborazione dei dati, tutti noi siamo continuamente soggetti ad errori di valutazione (in psicologia definiti “Bias”) circa le informazioni che incameriamo. Ecco quindi come mai in fase di acquisto ci capita di fidarci di slogan e pubblicità ingannevoli.

I pubblicitari conoscono bene questa tendenza della mente umana e delle volte la sfruttano a loro favore, ricorrendo a formule linguistiche il cui contenuto, seppur plausibile, si apre ad errate interpretazioni. Ecco quindi tre tecniche principali utilizzate nella creazione delle pubblicità ingannevoli, a cui fare particolare attenzione:

1. Legami di causa-effetto forzati o inesistenti.

Questa tecnica consiste nel porre due frasi che tra loro non hanno alcun legame logico, ma che vengono poste in sequenza, in modo da indurre nel consumatore un legame di causa ed effetto, in realtà inesistente. Un esempio di ciò può essere dato dallo slogan: “Utilizza X! Solo così potrai dimagrire”. In realtà, è chiaro come non possa essere l’uso di un solo prodotto a determinare i risultati sperati.

2. Utilizzo di “comparativi ellittici”.

Questa tecnica consiste invece nell’operare un confronto senza fare preciso riferimento all’oggetto del confronto stesso. Omettere tale termine di confronto risulta particolarmente sviante per il consumatore, il quale però, può rimanere comunque colpito dal confronto. Esempio classico di questa tecnica è quello facilmente osservabile nella promozione di alcuni prodotti in cui si dice: “Biscotto X, con il 50% di grassi in meno”. Nel caso dell’esempio: meno grassi rispetto a cosa?

3. Fornire dati statistici incompleti.

È questo il caso in cui per connotare il messaggio pubblicitario con un tocco di autorevolezza vengono fornite statistiche incomplete. Per esempio, affermare che “3 dentisti su 4 consigliano il dentifricio “X”, non ha alcun senso se non viene indicata la numerosità del campione di dentisti che consigliano il dentifricio “X”.

Noi di Reattiva crediamo nella buona pubblicità. Proprio in ragione di ciò riteniamo sia necessario fornire strumenti utili al pubblico per sviluppare un senso critico e consapevole nei confronti del mezzo. La buona pubblicità non offende, non inganna, non prevarica, non impone. La pubblicità deve dire la verità.

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