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Perché fare uno spot in tv? il caso Ekos

La televisione, a prescindere dai nuovi mezzi di comunicazione (che vanno sfruttati), resta comunque il mezzo generalista per eccellenza. Probabilmente ancora il più potente nell’immaginario collettivo.
Se la tua azienda compare in tv diventa in qualche modo più autorevole.

La gente tende a “fidarsi” moltissimo di quello che viene suggerito dalla scatola magica. Uno spot televisivo fa diventare la tua azienda più credibile e promuove il tuo prodotto a una platea molto vasta di persone.

Ecco, “la platea” è un altro fattore chiave quando si parla di televisione. Solitamente il target delle persone che guardano la tv è estremamente trasversale ma, le reti televisive, fanno la differenza.
Per Ekos, azienda siciliana leader nella produzione di profilati d’alluminio, abbiamo realizzato uno spot di 30 secondi da mandare in onda su una rete locale, la più vista. A guardarla sono soprattutto le famiglie, persone che tendenzialmente possiedono già una casa, estremamente legate al tessuto urbano locale. Un pubblico ideale a cui suggerire Ekos e i suoi prodotti.

A questo punto, una volta messi a fuoco mezzo e target, è il momento di pensare al contenuto. Bisogna fare in modo di catalizzare l’attenzione (che si abbassa inevitabilmente con l’arrivo della pubblicità). Noi abbiamo scelto di farlo raccontando il prodotto in chiave emotiva, utilizzando musiche e immagini in grado di far identificare ogni singola famiglia siciliana.

Vi lasciamo allo spot. Che ne pensate?

Non è la prima volta che realizziamo uno spot video per Ekos. Qui potete vedere quello precedente e leggere tutti i segreti per confezionare una buona pubblicità per la televisione.

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Cati, Cawi, Capi: 3 sigle che fanno bene al tuo business. Ecco a cosa servono

Quando si inizia un nuovo business, si lancia un nuovo prodotto, si pensa a un nuovo servizio, qualunque imprenditore si fa alcune domande che – potenzialmente – sembrano non avere risposta immediata:



“Faccio bene ad aprire questo tipo di attività in tale zona?”
“Il mio prodotto piace o ha qualcosa che non va?”
“Come posso migliorare qualcosa che mi rende economicamente poco?”
“Sto proponendo qualcosa di nuovo, come verrà accolto dalla gente?”

Molto spesso, si tende a pensare che le risposte arriveranno solo col tempo, che bisogna aspettare e scommettere, rischiare tutto o quasi. In realtà, non è così. È possibile fare delle previsioni, capire se il business che si ha in mente è giusto per un dato tipo di mercato e per un certo target. Il marketing serve proprio a questo, a prendere la mira, a limitare i margini di rischio operando in maniera più consapevole.

Per capire cosa vuole la gente, se è pronta per un certo prodotto/servizio, se è disposta ad acquistarlo e a che prezzo, basta semplicemente chiedere. Per questo si fanno le indagini di mercato. Oggi vi proponiamo tre tipologie di “interviste” da fare ai vostri clienti (e a chi non vi conosce ancora) per farvi un’idea più chiara dei risultati che il vostro business potrà raggiungere.

CATI (Computer-Assisted Telephone Interviewing)
Vengono fatte delle interviste telefoniche. Idealmente si utilizza un software che permette di immagazzinare le risposte di un questionario, ridurre gli errori e velocizzare l’elaborazione delle statistiche. Noi a Reattiva abbiamo creato la piattaforma informatica RTT® (Real Time Telescope), che permette di memorizzare i dati di ricerca in tempo reale permettendo un continuo monitoraggio, anche da remoto, dell’operato dei rilevatori.

CAPI (Computer Assisted Personal Interviewing)
In questo case le interviste sono faccia-a-faccia. Anche nelle indagini Capi è utile avere un sopporto digitale con la piattaforma di cui sopra (ad esempio un tablet) per ottenere prestazioni migliori.

CAWI (Computer Assisted Web Interviewing)
In questo caso il software e il questionario vengono compilati autonomamente dagli utenti scelti. Nelle indagini Cawi è fondamentale selezionare bene il target. A Reattiva, ad esempio, abbiamo spesso messo il link per accedere alla nostra piattaforma RTT® (Real Time Telescope) su gruppi creati ad hoc su Facebook, sfruttando quindi la profilazione del social.

A questo punto manca solo la cosa più importante: le domande giuste da fare.
Si tratta dell’elemento fondamentale, il vero segreto. Saranno infatti il modo di formulare le domande, le tematiche trattate e la metodologia di ripetizione o sequenza a scongiurare incomprensioni, risposte tendenziose o influenzabili da parte degli utenti. Le giuste domande sono quelle che permettono di mettere a fuoco le questioni giuste con le persone giuste e di offrirti, alla fine, una panoramica completa di risposte ai tuoi dubbi. Per fare questo lavoro è fondamentale rivolgersi ad un’agenzia specializzata.

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Shockvertising, quando la pubblicità sconvolge: fino a dove ci si può spingere?

Shockvertising, ovvero l’unione delle parole “shock” e “advertising” (pubblicità). Quante ne avete viste? Probabilmente parecchie e sicuramente ve le ricorderete. Ma vi ricordate anche il prodotto/servizio che reclamavano?

La shockvertising si dimostra particolarmente efficace quando si vogliono veicolare dei messaggi sociali (violenza sulle donne e sui minori, anoressia e disturbi alimentari, attenzione sulle strade, ecc.). Quando invece si utilizza questo espediente per pubblicizzare un prodotto/servizio allora il risultato è ben diverso. Utilizzare la provocazione per promuovere qualcosa a fini commerciali spesso procura un senso di fastidio nel pubblico. Due esempi sono le pubblicità di Dolce & Gabbana (in cui al centro c’è un atto sessuale, forse neanche troppo consensiente) e quella di una rivista belga (che ricostruisce addirittura l’omicidio Kennedy). Le pubblicità sicuramente colpiscono, qualcuno (spesso gli addetti ai lavori) possono anche apprezzarne lo sforzo creativo ma i destinatari finali, il più delle volte, notano una forzatura, un messaggio un po’ fuori contesto rispetto al prodotto, una provocazione gratuita. Guardate qua:

Nel caso delle pubblicità progresso invece – nonostante si prema ancora più forte sul pedale “shock” –  si tende ad accogliere il messaggio più positivamente, a giustificare la provocazione perché finalizzata alla sensibilizzazione, allo scuotimento delle coscienze. Ecco alcuni esempi.

Avete avuto anche voi la stessa impressione? Che ne pensate?